Dopo gli scandali degli ultimi anni una ricerca nazionale indaga l'efficacia dei sistemi di controllo
Crack finanziari, ma i controlli funzionano?
Norme più severe, ma è carente l'integrazione tra i diversi livelli di vigilanza aziendale
Enron, Worldcom, Parmalat. Sono i nomi delle grandi aziende coinvolte negli scandali finanziari degli ultimi anni. Crack e buchi neri che hanno risucchiato il denaro di tanti piccoli risparmiatori, causando una profonda sfiducia nei confronti delle società per azioni. Per evitare il ripetersi di catastrofi economiche di questo tipo l’attenzione dell’opinione pubblica e quella del legislatore si sono focalizzate sui meccanismi di controllo interno ed esterno alle aziende.
Per capire meglio come sono cambiate le cose e se i provvedimenti messi in atto hanno una loro efficacia, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ha finanziato un programma di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin) dal titolo “Comunicazione del valore e tutela degli interessi istituzionali nei gruppi aziendali: il sistema dei controlli interni”. Al progetto hanno collaborato le università di Parma, Trento e Pisa. A seguire l’iniziativa per conto del nostro Ateneo è stato il professor Marco Allegrini, del dipartimento diEconomia aziendale. Lo studio, basato prevalentemente sulla metodologia del case study, ha consentito di indagare le peculiarità dei meccanismi di controllo interno in alcuni grandi gruppi aziendali, come Enel, Fiat, Telecom e Unicredit.
La sfida dell’economia contemporanea è far si che le aziende possono perseguire profitti senza danneggiare gli stakeholder, un termine che ingloba azionisti di minoranza, creditori, lavoratori, risparmiatori, ed altre categorie. “Per tutelare gli interessi di tutti questi soggetti – spiega Allegrini –è fondamentale assicurare un adeguato funzionamento dei controlli interni ed esterni, in particolar modo per le società quotate in borsa. L’attività di queste aziende, infatti, ha ricadute su ampi strati della società”. A tal fine, negli ultimi anni si sono succeduti numerosi interventi normativi, sia cogenti sia di autoregolamentazione, che hanno rinnovato il panorama legislativo in materia. Il provvedimento più significativo è stato l’emanazione del decreto legislativo 231/01, che ha aperto le porte alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche smantellando il vecchio principio del sistema penale italiano, secondo cui “societas delinquere non potest”.
A questo primo intervento legislativo ne sono seguiti altri parimenti rilevanti. Per rispondere ai problemi di corruzione e di reato contro la pubblica amministrazione emersi con Tangentopoli, oltre al decreto legislativo 231/2001, il legislatore ha istituito un nuovo attore di controllo: l’organismo di vigilanza. Gli scandali societari causati da gravi falsità nel bilancio, come avvenuto nel caso Parmalat, hanno spinto il Parlamento a prevedere una nuova ed ulteriore figura: si tratta del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili e societari, che ha il compito di attestare veridicità e correttezza del bilancio, adeguatezza ed effettiva applicazione delle procedure amministrative e contabili. Per le società quotate il codice di corporate governance richiede un preposto al controllo interno, che di norma corrisponde all’internal auditing. Nelle banche, invece, è diventato obbligatorio istituire la figura del compliance officer.
Data la mutabilità del quadro normativo le aziende sono state indotte ad apportare modifiche sostanziali ai loro sistemi di controllo interno, sia dal punto di vista della “struttura”, sia da quello del “funzionamento”. “La nostra ricerca parte proprio dalla situazione attuale – spiega Allegrini – Abbiamo cercato di analizzare ruolo e caratteristiche dei principali attori del controllo interno alle aziende e soprattutto di verificare le interrelazioni tra i vari soggetti”. Sono quattro i livelli su cui si è posata l’attenzione degli studiosi: l’organismo di vigilanza, l’unità di internal auditing, il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili e societari e il controllo di gestione.
“Nel complesso, da questo studio emerge una situazione in cui il legislatore ed il codice di corporate governance per le società quotate, peraltro di adozione volontaria, hanno creato una pletora di attori del controllo interno. Periodicamente vengono emesse nuove norme che cercano di rispondere a determinati obiettivi specifici, creando nuove procedure e, appunto, nuovo controllori. Il problema, com’è evidente, riguarda l’integrazione fra i vari attori del controllo interno, la riduzione delle sovrapposizioni e l’aumento dell’efficacia della loro azione anche tramite un maggior coordinamento. La nuova sfida delle aziende è quella della “compliance integrata” – conclude Allegrini – ovvero l’adozione di un unico modello integrato che sappia far fronte alle diverse esigenze imposte dalle norme”.
I risultati della ricerca sono stati presentati in occasione del convegno che si è tenuto a Pisa lo scorso 27 giugno e sono stati pubblicati su un volume edito da McGraw-Hill e curato dal professor Allegrini.
Gianni Parrini
Per capire meglio come sono cambiate le cose e se i provvedimenti messi in atto hanno una loro efficacia, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ha finanziato un programma di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin) dal titolo “Comunicazione del valore e tutela degli interessi istituzionali nei gruppi aziendali: il sistema dei controlli interni”. Al progetto hanno collaborato le università di Parma, Trento e Pisa. A seguire l’iniziativa per conto del nostro Ateneo è stato il professor Marco Allegrini, del dipartimento diEconomia aziendale. Lo studio, basato prevalentemente sulla metodologia del case study, ha consentito di indagare le peculiarità dei meccanismi di controllo interno in alcuni grandi gruppi aziendali, come Enel, Fiat, Telecom e Unicredit.
La sfida dell’economia contemporanea è far si che le aziende possono perseguire profitti senza danneggiare gli stakeholder, un termine che ingloba azionisti di minoranza, creditori, lavoratori, risparmiatori, ed altre categorie. “Per tutelare gli interessi di tutti questi soggetti – spiega Allegrini –è fondamentale assicurare un adeguato funzionamento dei controlli interni ed esterni, in particolar modo per le società quotate in borsa. L’attività di queste aziende, infatti, ha ricadute su ampi strati della società”. A tal fine, negli ultimi anni si sono succeduti numerosi interventi normativi, sia cogenti sia di autoregolamentazione, che hanno rinnovato il panorama legislativo in materia. Il provvedimento più significativo è stato l’emanazione del decreto legislativo 231/01, che ha aperto le porte alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche smantellando il vecchio principio del sistema penale italiano, secondo cui “societas delinquere non potest”.
A questo primo intervento legislativo ne sono seguiti altri parimenti rilevanti. Per rispondere ai problemi di corruzione e di reato contro la pubblica amministrazione emersi con Tangentopoli, oltre al decreto legislativo 231/2001, il legislatore ha istituito un nuovo attore di controllo: l’organismo di vigilanza. Gli scandali societari causati da gravi falsità nel bilancio, come avvenuto nel caso Parmalat, hanno spinto il Parlamento a prevedere una nuova ed ulteriore figura: si tratta del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili e societari, che ha il compito di attestare veridicità e correttezza del bilancio, adeguatezza ed effettiva applicazione delle procedure amministrative e contabili. Per le società quotate il codice di corporate governance richiede un preposto al controllo interno, che di norma corrisponde all’internal auditing. Nelle banche, invece, è diventato obbligatorio istituire la figura del compliance officer.
Data la mutabilità del quadro normativo le aziende sono state indotte ad apportare modifiche sostanziali ai loro sistemi di controllo interno, sia dal punto di vista della “struttura”, sia da quello del “funzionamento”. “La nostra ricerca parte proprio dalla situazione attuale – spiega Allegrini – Abbiamo cercato di analizzare ruolo e caratteristiche dei principali attori del controllo interno alle aziende e soprattutto di verificare le interrelazioni tra i vari soggetti”. Sono quattro i livelli su cui si è posata l’attenzione degli studiosi: l’organismo di vigilanza, l’unità di internal auditing, il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili e societari e il controllo di gestione.
“Nel complesso, da questo studio emerge una situazione in cui il legislatore ed il codice di corporate governance per le società quotate, peraltro di adozione volontaria, hanno creato una pletora di attori del controllo interno. Periodicamente vengono emesse nuove norme che cercano di rispondere a determinati obiettivi specifici, creando nuove procedure e, appunto, nuovo controllori. Il problema, com’è evidente, riguarda l’integrazione fra i vari attori del controllo interno, la riduzione delle sovrapposizioni e l’aumento dell’efficacia della loro azione anche tramite un maggior coordinamento. La nuova sfida delle aziende è quella della “compliance integrata” – conclude Allegrini – ovvero l’adozione di un unico modello integrato che sappia far fronte alle diverse esigenze imposte dalle norme”.
I risultati della ricerca sono stati presentati in occasione del convegno che si è tenuto a Pisa lo scorso 27 giugno e sono stati pubblicati su un volume edito da McGraw-Hill e curato dal professor Allegrini.
Gianni Parrini
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